Storia

Il territorio

Grono è un Comune della bassa Mesolcina all’imbocco della Val Calanca, che ha dato vita assieme a  Leggia e Verdabbio con lo storico voto del 29 novembre 2015 alla ‘Nuova Grono’, rilanciando così il processo delle aggregazioni nel Moesano. 

Gran parte dell’attuale frazione di Grono è situata sul vecchio alveo della Calancasca, sulla via per Verdabbio. Estendendosi lungo 15 chilometri quadrati tra il Comune di Roveredo e la frazione di Leggia, a un’altezza media di 330 metri sul livello del mare, il suo territorio è composto da vari agglomerati risalenti alle vecchie Degagne, enti viciniali in auge nell’Ancien Régime.

Verdabbio è un nucleo montano che poggia su un terrazzo di 595 metri di altitudine: angolo bucolico di pace circondato dal verde (da lì la probabile origine del toponimo) sovrasta Leggia e Cama, Comune che taglia in due la frazione. La maggior parte della località si trova, come Grono e Leggia, sulla sponda destra della Mesolcina.

Leggia, frazione immersa nella natura e tradizionalmente legata alle attività dell’allevamento e dell’agricoltura, affonda le sue radici nel basso Medioevo. Gli statuti del 1380, una sorta di  Regolamento comunale in latino, rappresentano il manoscritto più antico di questo genere  del Moesano. Proseguendo verso Grono, sul versante sinistro della valle, si apre la Val Leggia.

Nel 2007 un contratto fra Pro Natura, il Cantone dei Grigioni con Cama e gli allora Comuni di Leggia e Verdabbio ha portato alla creazione della riserva forestale Val Cama e Val Leggia: tuttora la più grande della Svizzera al di fuori del Parco nazionale. Con una superficie di 15 chilometri quadrati è raggiungibile solo a piedi.

Principali fonti per questo testo come per altri brani:
- AAVV, 'Dizionario storico della Svizzera' consultabile online; 
-
 A. ANDREETTA, G. RUATTI, M. ZUCCHI, Leo e Lila alla scoperta del Grigionitaliano, Pro Grigioni Italiano, anno 2018;
- TOGNOLA Gaspare, articolo 'Grono, antico comune di Mesolcina' in Quaderni grigionitaliani,  collezione 26 (1956-1957), Quaderno 1.

Ulteriori informazioni sul Comune di Grono si possono trovare nella piattaforma online ETHorama.

 

Lo stemma del Comune

La pianta d’acero che diventò poi elemento essenziale nello stemma del Comune di Grono era incisa in bronzo nello scudo centrale del vecchio bollo usato per i sigilli a secco dell’antica autorità. A margine era riportata la scritta ‘Comunitas Agronensis’.

Questo stemma fu annullato dal Cantone dei Grigioni nel 1948  in quanto troppo simile a quello del Comune di Trun (Grigioni). Al suo posto s’imposero tre foglie d’acero su sfondo giallo. Il progetto fu però respinto dalla popolazione e quindi mai ufficialmente riconosciuto.

Su desiderio dell’Assemblea comunale si decise quindi di ricorrere all’acero quale simbolo araldico sovrastandolo da una stella dorata a sei raggi che riprendeva la rappresentazione del 1807 e il sigillo comunale tramandato.

Nel rispetto delle norme araldiche, stabilite dagli araldi dei secoli XII e XIV, la rappresentazione dello stemma di Grono del 1807 venne in questo modo riportata ai suoi elementi araldici essenziali: “In argento sotto la parte superiore dello scudo blu frastagliato, coperto con una stella dorata a sei raggi, acero nero con radici e con tre foglie verdi.” Le cinque radici stanno a simboleggiare le quattro degagne e il Console reggente.

Come previsto dal programma di aggregazione fra Grono, Leggia e Verdabbio il nuovo Municipio ha indetto un concorso pubblico per l’elaborazione di un nuovo stemma. Due delle tre soluzioni ritenute meritevoli dalla Commissione municipale nomitata, 'Tre identità in un unico scudo' di Danilo Tognola e 'Legame armonico' di Jason Piffero, sono state sottoposte al voto popolare nel febbraio 2019 seguendo le indicazioni fornite dai competenti servizi cantonali: a spuntarla (184 voti sì e 168 no) è stata la proposta elaborata dal grafico Jason Piffero di Locarno 'Legame armonico'. Lo stemma scelto, che raffigura tre foglie di acero (simbolo di Grono) con gli steli intrecciati nel formare una pianta che si erge fra i colori giallo e rosso presenti nei disegni araldici di Leggia e Verdabbio è entrato in vigore il 1° luglio 2019.

 

 

 

Il nome

Il toponimo 'Grono' è stato documentato per la prima volta nel 1219.  Il nome deriva probabilmente dall’accrescitivo
del lombardo “agher”, acero.

Sulla prima pagina dei vecchi statuti del 1765 è disegnato uno scudo con una pianta d’acero e la dicitura “Comunitas Agronensis”.  Fino al XIV sec. infatti, il Comune aveva il nome di "Agrono".

Cenni storici

La Torre fiorenzana, monumento storico risalente con ogni probabilità alla fine del XII secolo, richiama l’attenzione dei visitatori di Grono sulle antiche radici del Comune. In questo edificio il 28 aprile 1219 fu sottoscritto l’atto di fondazione del Capitolo di San Vittore voluto dal signore della Valle Enrico de Sacco. In tal documento si trova il più antico riferimento alla Chiesa di San Clemente di Grono: “ad ecclesiam sancti Clementis de Grono”. La Torre fiorenzana accompagnò negli anni la storia della nobile e potente famiglia de Sacco, che tenne la signoria di Mesolcina per più di 400 anni. All’interno di essa nel 1406 fu assassinato Alberto de Sacco (l’ultimo discendente del ramo cadetto dei de Sacco di Grono, Carlo, morì a Milano nel 1923).

Grono ebbe dunque un ruolo importante negli avvenimenti che determinarono la storia di tutta la Mesolcina. Nel luglio del 1469 Giacomo de Mansueti, commendatario dell'abbazia di S. Giuliano di Como, consacrando la Chiesa di San Bernardino per conto del Vescovo di Coira Ortlieb de Brandis, proferì queste parole: “Sitam et constructam in loco de Agrono Vallis Misolzine”. Nell’atto di vendita dell'intera valle Mesolcina tra i conti de Sacco e Gian Giacomo Trivulzio del 20 novembre 1480, Giovan Petro de Sacco si riservò la Fiorenzana con la cappella di San Nicolao (documentata dal 1419 e distrutta nel 1890). Fu poi sotto il dominio dei Trivulzio che fu eretto, alla fine del XV secolo, il Ponte del Ram.

Nel 1583 il cardinale Carlo Borromeo rese visita a Grono in una delle sue tante spedizioni pastorali e diplomatiche in cui volle rendersi conto in prima persona della situazione in cui versava la comunità religiosa. Borromeo, risoluto nell'arginare la diffusione della Riforma (che non ha attecchito nella regione), fece dono secondo la tradizione di una pianeta di velluto rosso (veste sacerdotale) alla Chiesa di San Bernardino. I Padri cappuccini provenienti da Milano e, dopo il 1800, da Torino celebrarono quasi ininterrottamente dal 1664 al 1935 le funzioni religione alla parrocchia di San Clemente di Grono.

Tra il Seicento e il Settecento la popolazione di Grono, che a quel tempo contava attorno alle 230-290 persone, fu colpita a varie riprese dalla peste. Negli Statuti del 1765 si trova il seguente brano: “L’anno 1658 il 20 maggio, regnando un morbo contagioso … nella nostra comunità di Agrono, fu in pubblica Vicinanza fatto voto perpetuo di osservare e santificare … Santo Filippo Neri …”.  La tradizione volle che gli appestati venissero ricoverati in Pianec, nel fabbricato della Porta Tonda (tuttora visibile).

Altre calamità ricorrenti sono state le piene alluvionali della Calancasca. Negli Statuti del 1765 è menzionata quella del 1727: “Il giorno di Santo Colombano cadette grande rovina sul nostro territorio”. Terribile alluvione fu anche quella del 24 settembre 1799, che mietette ben 11 vittime fra cui i sei figli minorenni “del fiscale Tognola” e un “dragone francese” di passaggio al momento del disastro, e quella del 19 settembre 1829 a causa della rottura della serra del ponte di Cauco.

Spostando l’attenzione sulla storia militare, nel periodo dei Torbidi grigionesi all’inizio del XVII secolo ufficiali mercenari gronesi militarono a fianco dei franco-veneziani e degli spagnoli. Nel 1859 invece due giovani gronesi, un Nisoli e un Tognola, si arruolarono e combatterono a fianco di Giuseppe Garibaldi, eroe del Risorgimento italiano. In tutto l’Ottocento arrivarono a Grono numerosi profughi italiani perseguitati dalle autorità austriache. Nella guerra del Sonderbund il gronese Fedele Tognola prese parte attiva quale aiutante di battaglione nell’esercito federale comandato dal generale Guillaume-Henri Dufour incaricato dalla Dieta di sciogliere l’alleanza militare. Sul fronte interno merita pure di essere segnalata la contrapposizione tra la famiglia degli a Marca di Mesocco e la comunità di Leggia per i debiti contratti da quest'ultima nel XVIII secolo. Le tensioni fra le parti ebbero a placarsi solo nel 1858.

Nel corso dei secoli molti in particolare fra le famiglie Bolzoni, Nisoli, Sacco, Splendori, Tognola e Viscardi intrapresero la professione di notaio. Nel 1578 la “Schola” riformata di Zurigo annoverò tre studenti mesolcinesi, tra questi un Tognola di Grono. Dalla costituzione di Grono in Parrocchia autonoma (all’inizio del XVI secolo) fino al 1835 la scuola fu affidata al parroco. Solo dopo il 1840 si istituì la scuola comunale obbligatoria al posto delle due scuole elementari private attive nei primi decenni dell’Ottocento. 

Fra le attività artigianali e industriali sorte nell’Ottocento nel comune si ricordano le fabbriche di birra, con una prima iniziativa terminata nel 1880 e una seconda industria fondata nel 1882. Grono era inoltre sede di una conceria e di un mulino. Nel 1836 ai Piani di Verdabbio sorse perfino una ferriera con fucina (Società a Marca-Schenardi e Comp.) per la fabbricazione di utensili (falci, falcetti, ecc.) e la fornitura di manufatti in acciaio per i cantieri stradali e legati allo sfruttamento dell'energia idraulica della regione nel XX secolo. La tradizionale attività degli abitanti di Grono, Leggia e Verdabbio nell’Ottocento fu rappresentata dall’agricoltura. La coltivazione dei cereali o della vite, del lino o della canapa e la bachicoltura finì poi col ridimensionarsi inevitabilmente, assieme all’allevamento del bestiame, nel Secondo dopoguerra. L’emigrazione rimase per molto tempo un’occasione di sviluppo. In particolare dalla località di Verdabbio non pochi partirono, verso tutta l’Europa, in cerca di un futuro migliore trovando lavoro come vetrai, guadagnandosi il pane come imbianchini in Francia o come negozianti in Germania.

Gli alpi più importanti della Piazza e di Cauritt vennero caricati con il sistema delle “bogge” (diritti sugli alpeggi assegnati alle comunità) fino al 1860, poi affittati fino alla metà del secolo scorso (TOGNOLA, Gaspare, Grono, antico comune di Mesolcina, Poschiavo 1957, p. 44). Un evento importante dell’anno, nel passato, era la “fera de San Simon”, che durava tre giorni ad ottobre e precedeva il mercato autunnale di Lugano.

Per maggiori informazioni cfr. capitolo Monumenti storici.

Le vecchie degagne

Fino alla metà del XIX secolo il Comune di Grono era suddiviso in quattro degagne, ossia: Ranzo, Garbia, Piazza e Priòla.  Esse comprendevano più frazioni. Quella di Ranzo era la più antica, mentre le altre tre mutarono aspetto in seguito alle alluvioni della Calancasca che spazzarono via molte abitazioni. 

Ogni degagna annoverava un proprio rappresentante nella Reggenza della Comunità presieduta dal Console reggente, come veniva chiamato il Sindaco.  A quel tempo i documenti venivano depositati e chiusi a chiave nella vecchia 'scrana' degagnale. Si tratta di uno scrigno massiccio, custodito fino ai nostri giorni nella casa comunale di Grono, con cinque serrature (una per ciascuna delle degagne,  più quella centrale del Console reggente). Si poteva aprire solo alla presenza dei rappresentanti e del Console. 

Le degagne furono infine soppresse nel 1846.

Monumenti storici

Torre fiorenzana

La Torre fiorenzana, monumento più antico di Grono, risale al 1300. È un edificio in pietra di cinque piani a pianta quadrangolare, con spigoli rinforzati da lastroni e tetto a due spioventi. Sulle sue facciate si aprono varie finestre con volta ad arco centinate. Il portone è raggiungibile con breve scalinata, pure in pietra, a piano rialzato sul lato settentrionale. Si pensa che le lunghe mensole sporgenti sui due lati reggessero una loggia in legno, forse una bertesca con piombatoi. La Torre apparteneva alla famiglia De Sacco, uno dei più distinti casati del comune. Nei tre secoli scorsi i De Sacco, patrizi di Santa Maria in Calanca e di Cauco, ricoprirono posti distinti nella magistratura  e nella milizia. Presero parte attiva anche nella reggenza del Comune e nell’ufficialità della Confraternita. Attualmente la Fiorenzana funge da rinomata location per esposizioni. Nel 1’800 venne rifatto il tetto mentre nel 1977 furono restaurati gli esterni.

 

La Cà rossa

Imponente costruzione risalente alla fine del XVI e del XVII secolo il 'Palazz ross', ora detto Cà Rossa, fungeva da casa patriziale. Di proprietà del Comune l'ex Palazzo Togni è oggi scuola e sede dell’associazione culturale Pro Grigioni Italiano. Gli interni sono contraddistinti da stanze storiche e pregevoli soffitti in stucco con cornici decorative a ornare gli spaziosi locali con dipinti di ninfee e putti, allegorie e scene mitologiche o bibliche. Nel salone al piano superiore vi è una stufa in pietra ollare del 1722.

 

La Casa comunale

La Casa comunale di Grono fu edificata nel 1865. Per anni, fino alla costruzione del palazzo scolastico progettato da Raphael Zuber nel 2011, funse anche da sede scolastica per le lezioni delle classi elementari. I servizi di Cancelleria del Comune aggregato sono attualmente centralizzati alla Casa comunale di Grono. La sala Municipio, dov'è custodita la vecchia 'scrana' degagnale, ospita le riunioni settimanali dell'esecutivo comunale.

 

Il Ponte del Ram

Costruzione in pietra a due arcate il Ponte del Ram è stato edificato alla fine del 1400 su volontà di Gian Giacomo Trivulzio per facilitare il passaggio sul fiume Calancasca. Si presume che il nome derivi dal nome dal nuovo alveo della Calancasca, allora chiamato il Ram. Nel 1800, con i lavori di allargamento cui fu sottoposto, divenne fondamentale per il transito di carri e carrozze.

 

La chiesa di San Clemente

La chiesa di S. Clemente appartiene al ciclo romano più antico, il primo riferimento nei documenti storici risale infatti al 1219.  Secondo le tradizioni questa sacra costruzione, a navata unica e soffitto a cassettoni, doveva essere una copia in piccolo della Basilica di San Clemente a Roma. Fu restaurata e ampliata nel periodo tra il 1656 e il 1666. A partire dal 1684 i padri Cappuccini, parroci di Grono, apportarono notevoli cambiamenti alla chiesa. Due le testimonianze degne di note nella chiesa di S. Clemente: l’altare maggiore di stile gotico e, sempre nel coro, due vetrate del 1561 raffiguranti i Santi Rocco e Sebastiano patroni della Confraternita e i Santi diocesani Lucio e Florino, i Santi Pietro e Paolo e un papa (San Clemente). Nel 1700 le piene del Rià di Mort, che scende tra Castaneda e Calone, arrecò vari danni la chiesa. 

 

La chiesa di San Bernardino

In origine la Chiesa di S. Bernardino era una cappella risalente presumibilmente nei primi anni del XV secolo. Restaurata e ampliata nel 1660 venne dedicata ai Santi Bernardino da Siena e Carlo Borromeo. Il campanile venne costruito in principio del 1800 sotto la supervisione delle Consorelle della Dottrina cristiana.

 

La chiesa di San Nicolao

Si dice che in questa chiesa, costruita dai De Sacco allo sbocco della strada di Verdabbio sulla Cantonale e demolita nel 1881 dal proprietario del fondo sulla quale sorgeva, si rifugiasse la povera gente per sfuggire alle piene minacciose della Calancasca. L'altare gotico è stato conservato nel Museo retico di Coira.

 

La cappella di San Gerolamo

La cappella di S. Gerolamo è stata costruita intorno al 1500. Risparmiata in più occasioni dalle piene della Calancasca questo monumento religioso situato tra prati e vigne all’estremo lembo sud-ovest del paese annovera un pregevole quadro di S. Gerolamo. L'opera, della scuola lombarda del XVI secolo, andò distrutta nel passaggio a Grono delle truppe del generale Claude-Jacques Lecourbe che comandò l'ala destra dell'esercito elvetico ritardando l'avanzata del generale russo Suvorov sul Gottardo e assicurando così la vittoria dei francesi a Zurigo.  Fu oggetto di lavori di restauri nei primi anni del XIX secolo. 

 

La cappella dell’Addolorata

La cappella dell'Addolorata fatta costruire nel 1760 dalla famiglia Nisoli e distrutta nel 1834 dall'alluvione della Moesa, sorgeva sulla destra della Moesa nei pressi del ponte d’Oltra.

 

La cappella della Val Grono

Situata a metà montagna sul sentiero chiamato 'Strada dei morti' la cappella della Val Grono è stata costruita verso il 1500 e dedicata alla Madonna del Carmelo. Funse, un po' come la chiesa S. Nicolao, quale rifugio di passanti. Ogni anno, nella terza domenica di luglio, saliva la processione per celebrarvi la messa alla quale seguiva la benedizione degli alpi.

Le alluvioni della Calancasca e della Moesa

Le piene alluvionali della Calancasca rappresentano il capitolo più tragico della storia del Comune di Grono. La Calancasca, che un tempo aveva a Grono il suo sbocco (a un livello molto più elevato di oggi), passava anticamente  nella località chiamata oggi la Monda della Valle come rivela la configurazione del terreno, lambendo, alla sua sinistra, il poggio di Ranzo di sopra e, più innanzi, il rialzo dei Ronchìtt, del Mott nella zona Sabbioni-Signù. Solo più tardi il torrente virò al suo sbocco a destra seguendo la base rocciosa di Pianecc e formando così l’attuale corso.

Si ritiene che le alluvioni disastrose della Calancasca fossero la conseguenza dei tagli liberi, e su vasta scala, nei boschi della Calanca interna (che risalgono, pare, alla fine del 1600). La stessa flottazione del legname contribuì, si ha ragione di credere, all'erosione delle sponde del fiume. Tre le alluvioni particolarmente disastrose documentate nei registri: la prima avvenne nell’anno 1727, la seconda si verificatò il 24 settembre 1799 e l’ultima avvenne il 19 settembre 1829. La causa di quest'ultima alluvione fu la rottura della famosa chiusa, o serra, costruita al ponte di Cauco, che tratteneva migliaia di tronchi in un lago artificiale che si estendeva fino alla cappella sotto Santa Domenica. Fortunatamente non si registrarono vittime umane. Il danno causato fu valutato a 162.465 lire. Una colletta a favore dei danneggiati, fatta nel Cantone, fruttò la somma di 640.50 fiorini, corrispondenti a 1843 lire mesolcinesi (cfr. TOGNOLA, Gaspare, Grono antico comune di Mesolcina, Poschiavo 1957, p. 46). Solamente dopo il disastro l’autorità cantonale intervenne imponendo il divieto della flottazione e delle serre. Interessante osservare che ancora nel 1851 il Comune di Grono, preoccupato per la sua sicurezza, chiese in Gran Consiglio di disciplinare il taglio dei boschi in Valle Calanca.

La furia della Moesa del 1951

Rammentiamo in questo spazio anche la piena disastrosa della Moesa del 1834 e le alluvioni del 1951. Era un mercoledì di fine estate quel 27 agosto del 1834 che il fiume travolse il vecchio ponte coperto in legno di Oltra, la vicina cappella dell’Addolorata e una vasta zona prativa nella località di Bola e Portonasca. Allora andò quasi completamente distrutto il Pro del Comun di oltre trenta pertiche (più di due ettari) che all'inizio del 1600 il capitano Giacomo Tognola volle legare al Comune. La più recente ondata di maltempo che nel  1951 a Roveredo distrusse un'arcata del ponte sulla Moesa e che nell'Alto Ticino scatenò distruzione e morte tramandate in prosa dallo scrittore di Airolo Giovanni Orelli nel celebre romanzo 'L'anno della valanga', scossero anche l'allora comunità gronese.  

Riproponiamo di seguito le preziose Memorie del prof. dott. Rinaldo Boldini 

I profughi italiani

I profughi italiani arrivarono in Val Mesolcina dopo la repressione dei moti rivoluzionari per l’indipendenza italiana del 1821. I primi giunti a Grono pare siano stati due dottori in medicina: Dom. Brancha e Castagnoni. Da una decisione della Vicinanza del 7 dicembre 1823 risulta che il Brancha prima e in seguito il Castagnoni vennero, a loro richiesta , ammessi a “servire la Comunità in qualità di medici, ai quali si riconoscerà un Luigi Annuo”. Nel paese giunse pure il Dr. Umiltà Repoldi, altro medico che abitò prima a Mesocco e più tardi a Grono dove rimase per undici anni. A Grono dimorò poi Andrea Simeoni, mazziniano, che per sbarcare il lunario istituì una scuola privata nella casa di Cimagrono, frequentata anche da giovani dei paesi vicini. Nel 1835 Grono nominò il Simeoni maestro della scuola comunale, fino ad allora affidata ai parroci.

Purtroppo al neoeletto maestro, persona stimata in paese, fu respinta da Coira una domanda della Sovrastanza per l'ottenimento di un permesso di soggiorno. Questa richiesta fu corredata anche da una supplica di molti padri di famiglia. Tuttavia, dopo lunghe corrispondenze, il governo cantonale ordinò l'espulsione del Simeoni.

La faccenda ebbe perfino strascichi legali per il Comune di Grono. In seguito al conflitto sorto tra gli organi della polizia e il Console reggente Fedele Tognola, intervenuto a proteggere il maestro, il Comune venne infatti denunciato per atto di ribellione al Gran Consiglio. Malgrado una brillante difesa dell’avv. Giov. Batt. Tscharner, il Gran Consiglio si pronunciò in data 8 novembre 1836 a maggioranza contro il mazziniano in questi termini: il Comune di Grono è ritenuto colpevole di insubordinazione alle Autorità cantonali e di conseguenza obbligato a:
1. Espellere immediatamente il maestro Simeoni, con minaccia, in caso diverso, di intervento militare a sue spese;
2. Pagare una multa di 50 corone;
3. Pagare le spese, dell’importo di 500 Fiorini.

Il Moesano nel corso dei tempi

Ca. 10000 a.C. 

Dall’assenza di vegetazione fino a una rada sterpaglia.

Ca. 9000 a.C. 

All’inizio fitta sterpaglia, poi il bosco ritorna a coprire il terreno, dapprima betulla, poi pino, i boschi si fanno rapidamente fitti.

Migrazione degli alberi termofili.

Ca. 7500 a.C.

A basse quote boschi misti di tigli e olmi, ontaneti; a quota più alte troviamo abiette, al limite della zona boschiva troviamo pini cembri e larici; espansione massima dei querceti e delle abetine; prime tracce di cultura, incendi; a Mesocco si trovano i reperti più vecchi. 

Ca. 4000 a.C. 

A basse quote boschi misti di tigli e olmi; in Mesolcina la Quercia assume un ruolo predominante, ontaneti; a quote più elevate regresso dell’abete bianco, migrazione della peccia che entro breve tempo assume un ruolo dominante; l’ontano nano (drosa) è frequente; raro il pino cembro; il larice si trova in una stretta fascia al di sotto del limite superiore del bosco; il faggio si trova fin nelle valli più superiori anche se raro.

3200 - 2600 a.C. 

Castaneda, Pian del Remit: resti di architettura, prime tracce di campicoltura (aratro!).

1400 - 1200 a.C. 

Mesocco, insediamento/centro abitato TecNev-Santa Maria del Castello.

600 - 500 a.C. 

Mesocco, necropoli presso l’attuale negozio Coop.

Fino al 200 a.C. 

Continuazione della presenza delle ricche tombe/sepolcri di Castaneda; accertata la presenza di Campicoltura, viticoltura, betulleti.

Ca. 0 

Intensità dell’agricoltura piuttosto ridotta, agricoltura e viticoltura poco estese, castagneti e selve di noci rari o assenti.

Ca. 1000 d.C. 

Estensione massima dei castagneti, selve di noci, coltivazione di cereali e viticoltura; dissodamenti per far posto all’alpicoltura.

Ca. 1500 d.C. 

Regressione di tutte le piante coltivate nelle quote superiori. Passaggio alla sola praticoltura; a quota più basse sviluppo del mais.

Fonti bibliografiche
H. Zoller; Pollenanalytische Untersuchungen zur Vegetationsgeschichte der insubrischen Schweiz, 1960
Schweizerisches Landesmuseum Zürich; Die Lepontier, Grabschätze eines mystischen Alpenvolkes, 2001

 

Eco del monte

Appari! grido, Appari! alla montagna,
che senza fine lungo i giorni e il tempo
da me volge lo sguardo e resta sola.
Appari! la montagna mi risponde...
E questa voce non è ancora spenta
che già torna invincibile il silenzio
e l’orma antica pasce sulle rocce.

 Remo fasani

Il Comune

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